L’agenzia «Rassegna Stampa di Marina di Pisa» mi ha segnalato un articolo apparso su «Nuova Secondaria» del 15 marzo 2011 a firma di Piero Morandini, biologo accademico dell’Università di Milano. L’autore, dopo aver ricordato la frase di Einstein «è più facile rompere un atomo che un pregiudizio», sottolinea il fatto che «circa il 50% della popolazione mondiale vive per e del coltivare la terra». Ma ha il problema della bassa resa (produttività ). Si può aumentare la superficie coltivabile, certo, ma non sempre è facile. E poi significa solo lavorare di più. «Molti altri fattori possono ovviamente contribuire (ad es. meccanizzazione, fertilizzanti, irrigazione) ma tutti questi soffrono di costi elevati e di minor sostenibilità rispetto ad approcci genetici dove è il vegetale piuttosto che l’ambiente ad essere cambiato». Un esempio clamoroso è dato dal cotone BT, contenente un proteina che è tossica per le larve degli insetti che danneggiano il cotone. In India il BT è stato adottato nel 2002. «In concomitanza con l’adozione si è verificato un raddoppio nella produzione» e una «riduzione nel consumo di pesticidi». Così, il risultato è stato «la trasformazione dell’India da paese importatore di cotone in paese esportatore ed un aumento di reddito per circa 6 milioni di agricoltori». C’è anche un cotone ogm che «renderebbe commestibile il seme permettendo così di soddisfare il fabbisogno proteico di mezzo miliardo di persone all’anno (…).
II cotone transgenico “commestibile†è stato pubblicato nel 2006, ma la stringente e costosa normativa ne impedisce la distribuzione perché l’università che l’ha sviluppata non ha le risorse economiche necessarie per richiedere l’approvazione». Purtroppo «i miti influenzano l’accettabilità da parte dell’opinione pubblica; questa a sua volta influenza la politica che raramente rischia un’assunzione di responsabilità contraria ad un’apparente volontà popolare». I miti «rendono invisa questa tecnologia alle giovani generazioni allontanandole dal perseguire gli studi superiori in questo settore: i corsi di laurea in biotecnologie vegetali in Italia soffrono da diversi anni di un numero ridotto di studenti».
il blog di Rino Cammilleri
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