Dal 1600, anno della sua morte, e per i due secoli seguenti nessuno si occupò mai di Giordano Bruno e solo qualche erudito, forse, ne sapeva qualcosa. Nel 1802 il filosofo Schelling pubblicò un’operetta di taglio panteista che lo nominava, ma della quale nessuno si accorse. L’ex domenicano divenne un’icona del «libero pensiero» (anche se pochi, ancora oggi, ci capiscono qualcosa, del di lui «pensiero») solo con l’anticlericalismo risorgimentale italiano. Il 9 giugno 1889, solennità di Pentecoste, il governo Crispi inaugurò il famoso monumento in Campo de’ Fiori a Roma. Un corrucciato Bruno di bronzo, in abito domenicano (abito che in verità si era ben presto tolto, ricavandoci calzini), sfidava Leone XIII, il papa della più dura enciclica antimassonica. Crispi aveva agito di sua iniziativa e, per sicurezza, aveva comminato tre giorni di bavaglio alla stampa cattolica. Tremila «liberi pensatori» erano convenuti a Roma per incensare l’opera dello scultore Ettore Ferrari e ascoltare la concione del filosofo Giovanni Bovio, in un tripudio di labari e gagliardetti. L’anno dopo, primo anniversario, quelli che dovevano solennemente deporre i fiori sotto il monumento si accorsero che in Campo de’ Fiori c’erano solo loro. Il resto erano i soliti fruttivendoli e bancarellari intenti a fare quel che facevano ogni giorno: vendere fiori e ortaggi. (Cfr. Dorotea Lancillotti, «Giordano Bruno, il mistero di un uomo diventato una celebrità solo per i moderni», sul sito Papalepapale, 13 luglio 2013).
il blog di Rino Cammilleri
Comments (0)