Kattolici

L’agenzia Zenit.org usa mettere in cima ai suoi comunicati quotidiani una frase da meditare. Talvolta appartiene a Santi, altre a personaggi famosi, altre ancora a persone a me sconosciute ma che, almeno quella, l’hanno detta giusta. Il 29 marzo 2015 la frase era del beato Giuseppe Allamano (1851-1926), sacerdote e fondatore. Eccola qua: «Che cos’è una comunità senza carità fraterna? Un purgatorio o meglio un inferno anticipato». Ho immaginato subito un convento (senza dubbio, a questo si riferiva il Beato) i cui occupanti non fanno nulla per smussare gli spigoli dei rispettivi caratteri, e magari il superiore è un imbecille che crede di essere intelligente. Ho immaginato di essere uno degli inquilini e, come inferno, mi è bastato. In fondo, in una «comunità» ci siamo o ci siamo stati tutti: la famiglia, la classe scolastica, la naja (per chi l’ha fatta), l’ufficio o il posto di lavoro. Ma vanno bene anche i mezzi di trasporto pubblico, un condominio, la coda agli sportelli. «La mia penitenza è il mio prossimo», diceva san Tommaso d’Aquino, che pur era santo. Già: se amare il prossimo fosse stato facile, Dio non avrebbe avuto bisogno di comandarlo. Per Lui siamo tutti figli, buoni e cattivi, e anche un padre umano i suoi figli li ama tutti, pecore nere comprese. Ma noi stiamo sul piano orizzontale e non riusciamo a sentirci «fratelli» neanche a cannonate. Sì, è il Peccato Originale. Però, senza «carità fraterna» si sta male tutti: i tapini perché devono sopportare i prepotenti e i prepotenti perché sono costretti a guardarsi continuamente dalle vendette. Ma lasciamo da parte quelli del «mondo» e veniamo ai discepoli di Cristo, i quali, dice il Vangelo, sono riconoscibili proprio dal fatto che si amano l’un l’altro (così comandò Gesù nell’ultima cena). Ancora, lasciamo da parte i cristiani in genere e selezioniamo i cattolici, perché qui siamo su un blog cattolico. Ma questo è un blog nel quale si riconosce solo una parte dei cattolici, e pure minoritaria. Purtroppo anche i kattolici, pur essendo quattro gatti, è difficile tenerli insieme. Quanto alla «carità fraterna», eh, ognuno fa quel che può ma lo sforzo è maggiore del risultato. Si tratta di persone di ampie e vaste letture, perciò difficilmente smontano dal cavallo della propria opinione. Certuni sono provvisti di bocca ma non di orecchie e, anche davanti a una pizza, non si può fare altro che ascoltare il loro magistero. Altri hanno sempre ragione anche quando hanno torto, e guai a farglielo notare. Frequentissime le scissioni tra i kattolici. C’è chi finisce col fondare un proprio gruppo con tanto di organo ufficiale. In attesa di ulteriore frammentazione. C’è chi si ritira sul proprio personale Aventino in sdegnosa solitudine. C’è chi ha provato timidamente a rimettere insieme le tante «anime» ma poi ha rinunciato perché al primo incontro sono volate le sedie. C’è chi guarda sconsolato dall’esterno e geme: ma come, siete così pochi e litigate? Già, ecco il punto dolente. Ci vorrebbe la «carità fraterna». Ma detta carità richiede umiltà, e l’umiltà richiede esercizio. L’impulso primario è rispondere per le rime, mettere i puntini sulle «i», non sopportare mancanze di rispetto, non tenersi niente sullo stomaco, non ingoiare alcun rospo, «lei non sa chi sono io», «ma come ti permetti?». E così via. Eh, stretta e ardua la via per il Regno dei Cieli. E senza la vaselina della «carità fraterna» è, come dice il Beato, un purgatorio; anzi, un inferno.