Un afoso sabato pomeriggio a Monza, traffico, ricerca del parcheggio, un bel pezzo a piedi sotto il sole, giacca in spalla. Poi, finalmente, la penombra e la frescura del monastero di clausura delle suore Sacramentine, di cui non sapevo nemmeno l’esistenza. Il loro è un vero e proprio Ordine (laddove credevo che l’ultimo fosse stato quello dei gesuiti).

Fondato nel 1789, proprio l’anno «fatale» dell’inizio del calvario per il cattolicesimo. Devo presentare un mio libro e, dopo scale e corridoi, arrivo alla grata dietro la quale stanno loro, schierate nei banchi ad ascoltare. 
Stranissime suore, vestite da suore. Nero, bianco e, davanti, una lunga stola rosso sangue con un piccolo ostensorio d’oro ricamato all’altezza del cuore. 

Adoratrici del SS. Sacramento. Non fanno altro. Quanto di più “inutile” ci sia per le filosofie correnti (dal 1789 in poi). Sono di tutte le età, si va dall’anzianissima alla giovanissima. Ero preparato per una concione erudita, zeppa di note in margine e citazioni. Invece l’atmosfera, subito, mi fa sciogliere, parlo come parlerei a una serata al bar con gli amici, quasi quasi tirerei fuori una sigaretta e stenderei le gambe. Seguono con occhi accesi, sorridono, poi ridono e si danno di gomito, qualcuna sembra non riuscire a reprimere l’allegria. 

Sono impressionato dalla gioia che hanno, che faticano a trattenere, cui solo il doveroso decoro impedisce l’esplosione. Suore di clausura. Adoratrici perpetue. Dietro la grata. Com’è, mi chiedo, che nel mondo là fuori c’è bisogno di «animatori» per tenere la gente su di giri? Anche ai bambini servono, sennò si annoiano. 

Com’è che qui, dove non entra neanche il sole (il re degli antidepressivi), queste donne hanno lo sguardo più luccicante che abbia mai visto e senza bisogno di colliri cosmetici? Com’è che due ore scorrono senza che me ne accorga e la gioia è così contagiosa che non vorrei più andarmene? Questo solo sono riuscito a scrivere sul libro degli ospiti: «Pregate per me».