L’agenzia «Corrispondenza Romana» (1 agosto 2009), commentando un recente rapporto Onu, fa il punto su una situazione grottesca: il mondo dipende dal petrolio; sul petrolio stanno seduti gli arabi; questi ultimi, grazie alla rendita, ostacolano lo sviluppo e la democrazia in casa loro. Già: se lo Stato non cava il denaro dalle tasse, non serve la rappresentanza politica; meglio il dispotismo orientale. Non solo: il mondo arabo è oggi meno industrializzato di quarant’anni fa e il suo tasso di disoccupazione è il più alto del pianeta, 14,4% contro una media mondiale del 6,3%. Lo dice un arabo: Walid Khadduri, co-autore dell’Arab Human Development Report. Spendono per comprare automobili d’oro ai loro sceicchi e impianti di sci nel deserto. Ma soprattutto in armi. Il che «ha non solo contribuito all’insicurezza endemica della regione, ma anche all’autoritarismo dei regimi locali e all’abbondanza di interventi militari e conflitti armati. Nel timore di allentare la presa sul potere, i regimi locali sono stati anche assolutamente restii a ogni tipo di riforma, sia politica che economica». Così che «il mondo arabo, assieme all’Africa sub-sahariana, è l’unica regione al mondo in cui la fame è cresciuta negli ultimi vent’anni, fino a raggiungere il 10% della popolazione». Si aggiungano le proibizioni coraniche in materia di credito che ostacolano gli investimenti in infrastrutture. Tanto per dirne una, l’Iran, secondo produttore di petrolio, importa benzina perché non ha come raffinare il greggio. Anche i recenti disordini elettorali, lungi dal rappresentare una maggior domanda di democrazia, non sono altro che una faida intraislamica.