Massimo Pandolfi, caporedattore de “Il Resto del Carlino”, è stato intervistato da Antonio Gaspari di Zenit.org sul suo libro La vita in gioco. Eluana e noi (Ares) presentato al Meeting il 25 agosto 2009. Contiene documenti inediti, valutazioni medico-scientifiche, contributi d’opinione, interviste e racconti di persone che si sono risvegliate dopo quasi vent’anni di coma. Alcuni stralci: «Credo che sulla vicenda di Eluana siano state dette tante, troppe bugie. Ad un certo punto è passato il messaggio che i sadici saremmo noi, ‘ostinati’ difensori della vita, e i buoni tutti quelli che volevano accompagnare Eluana alla fine del suo calvario. Eluana non era una malata terminale, ma una grave disabile. Eluana non era attaccata a macchinari strani e veniva nutrita, idratata e pulita come capita alle persone non autosufficienti (…). Purtroppo il caso singolo di una persona (Beppino Englaro) che ha fatto questa scelta è diventato una sorta di bandiera etica e mediatica per molti. Ma la realtà è un’altra! (…) ma ci avete fatto caso, dal 25 giugno 2008 (giorno del decreto della Corte d’Appello di Milano che autorizzava la sospensione dell’idratazione e nutrizione artificiale di Eluana) non c’è stato un disabile-uno che abbia provato a seguire questa strada giudiziaria, che dopo quel precedente poteva anche essere molto agevole. Perché? Non sarà che forse le reali esigenze dei disabili e dei loro familiari sono ben altre rispetto a quelle ossessivamente sbandierate da radicali, radical-chic e ‘Ignazi Marino’ vari nei mesi scorsi? (…) c’è una società nichilista che pretende – ed è questo l’aspetto drammatico – che certe persone a un certo punto della loro esistenza si tolgano di torno. Diventano scomode o sono scomode in partenza, d’impiccio. Si è cominciato con i bambini da ammazzare prima di far nascere (aborto: primo omicidio legalizzato della storia moderna), poi siamo arrivati a malati e disabili, presto chiuderemo il cerchio con gli anziani. (…) nel 99.9% dei casi le esigenze di queste persone non sono quelle che sono purtroppo state sbandierate per mesi anche da noi giornalisti. Questa gente (e i loro familiari) non chiede-chiedono di morire ma semplicemente di trovare dei buoni motivi per continuare a vivere».