Nel prezioso libretto Cristianità, modernità, Rivoluzione (Sugarco) di Marco Tangheroni trovo questa bella pagina dello storico nazionalista Niccolò Rodolico (Il popolo all’inizio del Risorgimento nell’Italia meridionale): «Quando i reggitori della Repubblica di San Marco, tremanti di paura per le minacce francesi, strappavano le gloriose insegne del leone alato e supplicavano la pace i contadini del Veronese gridavano “Viva San Marco” e morivano per esso in quelle Pasque che rinnovarono i Vespri. Quando sotto il cumulo di umiliazioni patite da prepotenti francesi e da giacobini paesani Carlo Emanuele avvilito abbandonava Torino, i montanari delle Alpi e i contadini piemontesi e monferrini continuavano disperatamente la resistenza allo straniero. Quando nella Lombardia gli austriaci si ritiravano incalzati dai francesi i contadini lombardi a Como, a Varese, a Binasco, a Pavia osavano ribellarsi al vittorioso esercito del Bonaparte sfidando la ferocia della sua vendetta. Quando il mite Ferdinando III di Toscana era licenziato dai nuovi padroni e i nobili fuggivano e i girella democratici improvvisati venivano fuori con la coccarda tricolore i contadini toscani insorgevano al grido di “Viva Maria”. Quando nelle Marche scappavano generali e soldati pontifici e il vecchio pontefice arrestato era condotto via da Roma sua non i prìncipi cattolici osarono protestare, non Roma papale insorse, ma i contadini dai monti della Sabina alle marine marchigiane caddero a migliaia per la loro fede e per il loro paese. Quando vilmente il re di Napoli con cortigiani, ministri e generali fuggiva all’avanzarsi dello Championnet soli i contadini di Terra del Lavoro, i montanari degli Abruzzi, i lazzaroni di Napoli si opposero all’invasore in una lotta disperata e sanguinosa». Da qui l’imbarazzo degli storici liberali, per i quali i francesi portavano la Liberté, i collaborazionisti giacobini locali erano «patrioti» e il popolo italiano insorto «plebe». Ma anche di quelli marxisti, che dovevano spiegare come mai il popolo fosse contro il «progresso». Infatti non lo spiegarono. Tacquero. E trasformarono la parola «sanfedista» in un insulto. Nemmeno spiegano perché l’Unità d’Italia fu fatta non dagli italiani (che sempre le buscarono sul campo) ma da inglesi e francesi. Cambiano le parole, tradendo così il fondo puramente ideologico del Risorgimento. La guerra civile nel Sud (8.964 fucilati, 1.428 comuni sollevati, 6 paesi dati alle fiamme in un solo anno, dal settembre 1860 all’agosto 1861: dati ufficiali piemontesi, dunque sottostimati) è ancora chiamata «brigantaggio». Cioè, usando i termini dei bandi piemontesi. Per un parallelo, come se si chiamassero «banditen» i partigiani del 1943. Nel 1906 nacque la Società Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano, il cui scopo esplicito era educare il popolo tramite il mito: monumenti, lapidi, commemorazioni, intitolazione di vie e piazze, musei. Nel 1935 si trasformò in Istituto Storico del Risorgimento Italiano per opera di uno dei «quadrumviri» della Marcia (fascista) su Roma: Cesare de Vecchi. Il sottoscritto è un siciliano che faceva le elementari nel 1961 (primo centenario) e fu costretto a sfilare vestito (a sue spese) da garibaldino. Ora, con una Lega Nord e un incipiente Partito del Sud vorrebbero festeggiare il 2011? Ma per piacere…