Il presidente americano Woodrow Wilson fece di tutto per fare entrare gli Stati Uniti nella Grande Guerra a fianco dell’Inghilterra. Che continuò ad affamare la Germania col blocco navale (aveva minato il Mare del Nord) ancora per quattro mesi dopo la sua resa. Wilson mise in atto ogni provocazione, perse centoventimila uomini e dei suoi famosi Quattordici Punti non realizzò granché. Per esempio, per quanto riguarda l’autodeterminazione dei popoli (pur non compresa tra i Punti), l’Irlanda rimase sotto dominio britannico. Della nuova Cecoslovacchia, Wilson non sapeva che conteneva tre milioni di tedeschi. E Danzica era tedesca al 95%. Fu proprio appellandosi all’autodeterminazione che Hitler invase poi i Sudeti e Danzica. Di Wilson scrisse Sigmund Freud che «si stava rapidamente avvicinando a quella landa psichica da cui ben pochi viaggiatori tornano, il mondo in cui la realtà è frutto dei desideri». Sigmund parlò di «una poltrona in manicomio» e della «disintegrazione mentale che lo colpì dopo l’aprile del 1919». Cfr. Sigmund Freud e W. C. Bullit, “Il caso Th. Woodrow Wilson, ventottesimo presidente degli Stati Uniti”, Feltrinelli 1967 (cit. in T. E.Woods, “Guida politicamente scorretta alla storia degli Stati Uniti d’America”, D’Ettoris, p. 182).