Il giorno più bello dell’anno è, per me, il 7 gennaio. Perché? Perché odio con tutta l’anima le feste c.d. natalizie. Non finiscono mai. Cominciano, per tempo, con la cassetta postale o quella mail intasate di richieste di denaro per una serie infinita di cause una più nobile dell’altra. Poi, butti la tredicesima in minchiate, che per giunta ti tocca escogitare, cercare, infiocchettare. Scambio doni: ti riempiono la casa di altrettante minchiate che non ti servono. Ti becchi l’influenza a furia di entrare-uscire da negozi accalcati e iper-riscaldati. L’influenza ti manda all’aria il viaggio-soggiorno capodannesco low-cost che non ti viene rimborsato. Qualsiasi cosa di serio ti serva, scordatela perché «sotto le feste» nessun ufficio, neanche aziendale, ti da’ retta. Tutto questo per quindici giorni. Nei quali, non solo devi sacrificare a Mammona, ma pure a Dio, perché un giorno sì e uno no c’è la messa (interminabile e assediata da zingari e accattoni). Già, in fondo è Lui il festeggiato. La ressa euforica del «giorno prima» si trasforma nel rigor mortis dell’indomani. Per un caffè devi cercare un bar cinese o musulmano. Non hai nemmeno finito che subito si ricomincia perché le «feste» sono tre, una dietro l’altra. E poi le telefonate, le mail, gli sms: auguri, auguri. Ma de che? Siete tutti agnostici e atei, ma fatemi il piacere. Il prossimo Natale regalatemi un ibernatore portatile, ma fatemelo pervenire entro il 22 dicembre. Anche a nolo: ci entro il 23 e ne esco il 7. Al parroco porterò certificato medico.