«All’interno della Democrazia Cristiana di allora si confrontavano due anime: una che faceva capo a Giuseppe Dossetti e che trovava una valida sponda in Giorgio La Pira e Amintore Fanfani, formatasi “nel clima illiberale prefascista e fascista, e che vedeva nella Costituzione non uno strumento con il quale porre un limite al potere […] bensì lo strumento per la pianificazione – un’opera di ingegneria sociale”; e un’altra incarnata da Alcide De Gasperi, Luigi Einaudi e don Luigi Sturzo, secondo cui “nessun principio guida per la politica è migliore di quello liberale”». Così, riferendosi ai tempi della Costituente, ha affermato il prof. Flavio Felice, docente di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense e di Filosofia dell’Impresa alla LUISS Guido Carli di Roma, nonché direttore della Fondazione Novae Terrae e presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton. Felice, intervistato da Mirko Testa per l’agenzia Zenit.org (4.3.09), di fronte all’attuale crisi ha dato voce, col suo libro intitolato “L’economia sociale di mercato” (Rubbettino, 2008, pp. 128, € 8,00), alla «necessità di ancorare nuovamente l’economia all’eticità e di ripensare allo Stato come arbitro del gioco economico, lontano però da dottrine interventiste che possano falsare la libera concorrenza e generare disuguaglianza». Ora, poiché i novantenni, com’è noto, muoiono di nostalgia per la loro gioventù («eh, ai miei tempi…!») ecco gli Scalfaro e gli Andreotti e i Napolitano correre in soccorso alla Costituzione (ispirata a quella sovietica del 1935: per questo fu tranquillamente votata dai comunisti di Togliatti). Anche lo stesso Dossetti uscì dal suo monastero per difendere la sua creatura dal “mostro di Arcore”, che osava e osa criticare la Costituzione italiana, che per i novantenni è più sacra del Vangelo. Quest’ultimo, infatti, per i dossettiani è elastico, tant’è che lo tirano volentieri dalla loro. Ma la Costituzione è intangibile. Come il Corano.

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