Cito da «Repubblica», rubrica «L’amaca» (10/05/2015) di Michele Serra: «Una stretta di mano a Enrico Fedocci, il giornalista del Tgcom che una settimana fa intervistò a Milano il ragazzo Mattia, poi diventato zimbello mediatico (on line, ma non solo) per le sciocchezze dette a proposito della violenza di strada. In un lungo post il giornalista difende il ragazzo, che ha “21 anni e tutto il diritto di avere una vita davanti”. Non rinnega l’intervista e le domande fatte, ma si dispiace — come dire — di avere esposto Mattia a un lungo massacro di insulti e sghignazzi. Si sente responsabile del proprio mestiere, che ha il potere di proiettare uno sconosciuto nel cono di luce della fama, non facile da reggere anche per i famosi, difficilissimo per quelli come Mattia. Pochi altri giornalisti avrebbe avuto lo stesso scrupolo di Fedocci. La cosa più difficile, impugnando una telecamera o digitando su una tastiera, è rendersi conto che si sta esercitando un potere. Nella fretta, nella routine, non è semplice conservare umanità e misura. Si ha facoltà di ferire, di sovraesporre, di sputtanare, e quando capita di farlo la tentazione è nascondersi dietro la foglia di fico del “dovere professionale”. Il bello del giornalismo è riuscire a volte, con immensa fatica, a rappresentare scampoli di verità. Il brutto è l’uso della parola e dell’immagine come armi improprie». Ne sa qualcosa Berlusconi.