Sul Corriere della Sera del 25 aprile, festa della liberazione, un premio Nobel ci avvisava che esiste qualcosa da cui non ci libereremo mai: i germi. Tanto vale rassegnarsi e imparare a conviverci. Si tratta di Joshua Lederberg, Nobel nel 1958 per i suoi studi sulle mutazioni genetiche nei batteri. 
Dunque, uno che se ne intende. L’argomento della pagina era la Sars, la strana polmonite che, come tutte le altre da che mondo è mondo, viene dal solito posto (qualcuno dovrà prima o poi calcolare quanto è costato finora al pianeta, almeno in denaro, subire le epidemie influenzali che, cronicamente ogni autunno, ci invadono rispondendo sempre ai nomi di «Shangai», «Hong Kong», «thailandese» eccetera). 
Il Lederberg, dopo aver irriso quanti annunciavano che le malattie infettive erano ormai debellate (poi venne l’Aids, e poi tornarono vecchie conoscenze: lue, sifilide, tubercolosi…), consigliava di accettare – che non è subire – la convivenza. Ma c’è in particolare una sua frase, riferita alla razza umana, che mi ha colpito: «Noi siamo isolati geneticamente dalle altre specie, ma anche rispetto alla nostra diretta discendenza. Le nuove generazioni devono sempre reimparare tutto da capo». 
A prescindere dalle intenzioni, mi sa tanto che tutto ciò fa a botte con l’evoluzionismo.