Leggo su Zenit del 7 maggio 2012 che, in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), Mark Riedemann ha intervistato per Where God Weeps (Dove Dio Piange) padre Samir Khalil Samir, S.I., professore di Storia della Cultura araba e di Islamologia a Roma e a Beirut. Dall’intervista traggo i seguenti passaggi: «La discriminazione in Egitto è il secondo livello. Un esempio: tutto il giorno e tutto l’anno, dalle cinque del mattino, vieni bombardato con la propaganda islamica. Iniziano la loro preghiera usando i megafoni e la ripetono cinque volte al giorno. Poi ci sono la radio e la televisione: spesso i vicini seguono questi programmi con un volume altissimo. Non ti puoi lamentare perché il vicino si giustificherà dicendo che è la parola di Dio. Anche la televisione e il cinema sono inondati dalla propaganda islamica. Nelle scuole, i ragazzi e le ragazze iniziano la giornata con l’insegnamento islamico. Comincia quando gli studenti sono ancora fuori, poi vengono di nuovo inondati dalla propaganda islamica, chiamata Khutbah. Quando c’è il cambio di insegnante, si ripete il rituale. In termini di occupazione, quando qualcuno cerca un lavoro, in particolare nel settore pubblico, chiedono il tuo nome, il che è normale, ma in Egitto le cose sono diverse: chiedono il tuo nome, quello di tuo padre, quello di tuo nonno, e se non c’è qualche Mohammed nella serie di nomi allora capiscono che sei un cristiano. (…) Esattamente, non chiederanno la tua carta d’identità, solo il tuo nome, ma in quel momento sai che sei stato classificato e che potrebbe essere un motivo per essere rifiutato per un lavoro e cose simili. Senti di essere trattato diversamente. L’atmosfera è l’islamizzazione della società. E durante il Ramadan (il mese del digiuno islamico, ndr) tutto il sistema cambia. Gli orari cambiano. Il sistema dei trasporti pubblici smette di funzionare dalle cinque di sera fino alle otto della mattina».