Poster

Leggendo il titolo di questo articolo la mente dei più anziani correrà al motivetto di Claudio Baglioni che principia così: «Seduto con le mani in mano sopra una panchina fredda del metrò…». Il brano, al ritmo di una java francese, è una delle cose più depressive mai sentite. Però il poster di cui qui devo parlare è un altro, è quello che ho visto mentre contemplavo distrattamente la vetrina di un grande negozio seriale, di quelli il cui brand (si dice così nella neolingua universale) è replicato in tutte le città e in tutto il mondo. Abbigliamento, tanto per cambiare, e non lo cito perché non ce n’è bisogno: se proprio vi punge vaghezza, andate e guardate. La prima cosa che, tra abiti e maglioni, salta all’occhio (e deve farlo, nelle intenzioni della ditta) è, appunto, un poster, bello grande, una foto con due modelle: una, un palmo di lingua di fuori, lecca l’orecchio dell’altra, che ride divertita. Un tempo alle modelle e ai modelli era chiesto solo di indossare con grazia, ora devono prodursi in performances (si dice così nella neolingua universale) da attore generico. Dicesi Attore Generico, per distinguerlo dalla Comparsa semplice, quello a cui la regia chiede di fare o di dire qualcosa, un gesto particolare, una breve battuta. Secondo le regole sindacali, se dice anche solo «Che ore sono?» ha diritto a un compenso maggiore. Non so se queste norme valgano anche nel mondo della moda, ma non è questo quel che qui importa. La riflessione (nel senso di riflesso condizionato, sì, proprio quello pavloviano) che mi è scaturita è questa: guarda un po’, questi geni della comunicazione per guadagnare un cliente ne perdono dieci. Sì, perché malgrado il martellamento continuo di tematiche Lgbt, malgrado il pressing (si dice così nella neolingua universale) sulla politica, malgrado la Disney, non ci vuole un sociologo per sapere che alla maggior parte (anzi, massima) della gente ‘sta roba proprio non cale. Infatti, ci vuole il martellamento continuo e ossessivo, che non sarebbe necessario se l’«omo» fosse davvero «normale» come i suoi sostenitori cercano di farlo diventare. E’ vero, i «creativi» (quelli cioè che escogitano le campagne pubblicitarie) lo sanno bene e, perciò, puntano sui giovani. Anzi, sui giovanissimi. Che sono i più influenzabili (cioè plagiabili) dalla narrazione politicamente corretta. Peccato per lor signori che i giovani & giovanissimi non hanno soldi da spendere in griffe. Né, dati i tempi che corrono, ne avranno mai, perché nel loro futuro c’è la disoccupazione come unica certezza. No, le modelle che si sdilinguano l’una l’altra i lobi non sono affatto «normali», come prova il caso Barilla che a suo tempo fu clamoroso. Ricordate? Un furbacchione (che infatti fece poi carriera) incastrò via radio il titolare della famosa pastasciutta con una domanda sulla pubblicità: anche gli «omo» sono famiglia o no? Quello rispose col buonsenso, ma mal gliene incolse. Partì il boicottaggio e la ditta, il cui maggior fatturato è negli Usa, fu costretta a scusarsi e rimediare. Ormai, com’è noto, la sinistra americana ha preso la via del radicalismo più ottuso e comanda nei media (e nei social), il che significa che comanda sui cervelli di tutto l’Occidente (e sul resto del mondo provvisto di tivù e cellulari). Ma, anche lì, proprio i voti che a suo tempo hanno eletto Trump testimoniano che sono minoranza. Così, la Barilla, dopo aver pagato dazio, quatta quatta è tornata alla normalità «normale» e a vendere pasta e sugo alle famiglie vere. Coraggio, non praevalebunt.

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