Se volete vedere il grado di rimbambimento a cui Steve Jobs e compagnia elettronica hanno ridotto l’umanità non dovete fare altro che salire sul metrò. Tutti i passeggeri –diconsi tutti- sono intenti a lavorare di pollici sul telefonino. Alle fermate continuano mentre scendono, mentre salgono le scale per uscire, talvolta si fermano nel bel mezzo del viavai e bloccano chi vuol superarli. Smessaggiano per strada, ai semafori, sulle strisce pedonali, camminando come sonnambuli con gli occhi fissi allo schermo. Non di rado si incontra (a Milano, almeno) una mannequin che di telefonini ne consulta due, uno per mano, mentre al braccio destro regge la borsa e al sinistro il guinzaglio multiplo di tre cagnetti. In una metropoli in cui il suicidio e/o omicidio per solitudine e/o abbandono è frequentissimo ci si aspetterebbe che, almeno sui mezzi pubblici, la gente scambiasse due parole col vicino di sedile, magari facesse amicizia. Invece no: regna l’autismo informatico. «Be fool!», era l’augurio del Genio della Mela. Infatti.