streetfood

STREETFOOD

C’è una correlazione tra l’abolizione della famiglia e il dilagare del c.d. street food. Un tempo mangiare per strada era roba da barboni, era il desco familiare il luogo del nutrimento. Ma, certo, vuoi mettere la funzionalità allo shopping? E’ il futuro neanche tanto remoto: tutti individui sradicati e dediti all’acquisto compulsivo. E poi ci si chiede da dove vengano i mezzi (ingenti) dei demolitori sistematici della famiglia…

STREETFOOD

Come cambia il costume. A me è stato insegnato (tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…) che mangiare camminando per strada è di cattivo gusto. Adesso è talmente trendy che è stato necessario coniare un termine (inglese, ovvio) apposito: streetfood. Così, giovanotti apneici in sofferti slim telefonano con una mano e reggono pizza sbrodolosa con l’altra, pulendosela frettolosamente nei jeans angosciosi quando incontrano qualcuno che tende loro la sua, di mano, per salutarli. Vezzose signorine, cane al (lunghissimo) guinzaglio e occhio allo smart, tracannano acqua direttamente dalla bottiglia come portuali. Perché, si sa, berne almeno due litri al giorno fa bene. Alla prostata. Sempre ai miei tempi, anche gli straccioni si vergognavano di mostrarsi lisi. Oggi i calzoni lacerati sono un must. Sulle gambe di oves et boves (latino di cortesia). Orwell si sbagliava: non è vero che se c’è una speranza è nei prolet. Siamo tutti diventati prolet, e non c’è più speranza.