Cito dal libro di Stefano Zurlo, Inchiesta sulla devozione popolare(Piemme): in Italia, «negli ultimi otto anni i delitti commessi da coniugi dopo la separazione sono stati 760 e 70 i suicidi (dati dell’ottobre 2002)». 

Non so quali numeri siano da aggiungere dall’ottobre ultimo scorso al corrente luglio né, confesso, ho voglia di andare a cercarli. Mi basta aprire il giornale per rendermi conto che la cadenza è, ormai, suppergiù settimanale. Di solito, chi decide per la “soluzione finale” è, mediamente, lui. Fa fuori tutti, figli compresi, e poi se stesso. 

Quel che, in genere, meno si sopporta è il pensiero che i figli debbano, da lì in avanti, convivere con chissà chi. Naturalmente c’è anche il resto: l’angoscia di dover ricominciare tutto da zero a quaranta-cinquant’anni, la casa comprata magari con sacrifici (o, peggio, ereditata dai propri vecchi che, a suo tempo, l’avevano tirata sù magari con sacrifici) che il giudice infallibilmente assegnerà a lei, la frustrazione di dover arrendersi alla volontà altrui, l’atroce delusione di un sogno di felicità che si è tramutato in una gabbia infernale. 

Così, quella che a suo tempo fu acclamata come «conquista di civiltà» è diventata un orrido boomerang di cui ormai non si può più fare a meno. Tornare indietro è infatti impossibile. Procediamo, dunque, nella direzione di una sempre maggiore precarietà in questa Valle di Lacrime già incerta per conto suo. 

Ci pensa la selezione naturale ad eliminare via via i più fragili. Ed è inutile ipotizzare pezze legislative che potrebbero rivelarsi peggiori del buco. Nessuno cuce una toppa nuova su un tessuto vecchio, lo dice il Vangelo, ed ha, anche qui ragione. 

Non c’è che una via d’uscita: procedere alla nuova evangelizzazione. Ma, per cortesia, non con piani pastorali e simposi di “esperti”. Déjà vu, non servono a niente. Preghiamo il Padrone della Messe che ci mandi i (grandi) santi giusti per questi nostri infelici tempi.