Mentre scrivo, l’allarme siccità minaccia di razionare (per la primavolta nella storia italiana) l’energia elettrica. Da più parti, suigiornali, c’è chi lamenta la mancanza di centrali nucleari nel nostroPaese, bisognoso di acquistare elettricità così prodotta dalla Franciae dalla Svizzera. 

Lanostra bolletta, così, è fra le più salate del mondo civile. A suotempo ci vietammo il nucleare a colpi di referendum, buttando al ventoun’esperienza d’avanguardia che risaliva agli anni Cinquanta e ai tempidell’Euratom (non a caso nata a Roma). 

Gli svizzeri, che direferendum se ne intendono visto che referendeggiano continuamente sututto, hanno recentissimamente confermato la loro volontà di continuarecol nucleare, dal momento che costa poco, non inquina e li rende nondebitori ma creditori dei Paesi meno illuminati (in ogni senso). 

Ora,non starò qui a magnificare i vantaggi del nucleare occidentalerispetto a quello scassato sovietico, né a chiedermi con quale energiasi produrrà il sospirato idrogeno, né a domandarmi se riempire l’Italiadi mulini a vento o di campi di cellule solari avrà un impattodevastante sull’ambiente. 

No, sforzerò la memoria, la mia e lavostra, per cercare di ricordare a chi si dovette, a suo tempo, lapromozione e il sostegno di quel famoso referendum che preferì ilmetano africano al nucleare nostrano. Sì, i verdi di allora c’erano:«sole-che-ride» sugli adesivi che occhieggiavano dai vetri delle Dyanecolor arancione, un paio di rockettari americani diventati miliardaricome «profeti del No-Nukes», Chernobyl fin troppo a fagiuolo. 

Ma,aiutatemi, cari lettori: c’erano i radicali? c’erano i socialisti? Mipare di sì. E cosa dicono, oggi, i socialisti (ormai ex, dovunque sianoconfluiti)?