Nella località lacustre dove ogni tanto vado a cercar frescura, silenzio e «misura d’uomo», alla giunta comunale è saltato il ghiribizzo di togliere i cassonetti dei rifiuti dalle strade. 

Per la bisogna ci stanno dei bidoncini in plastica verde-militare nei cortili dei condomini. Sono tanti e ciascuno provvisto di etichetta: «umido», «carta», «vetro», «secco non riciclabile», «plastica» e via ingiungendo. La classificazione dei rifiuti va fatta, obbligatoriamente, in casa all’atto del rigetto, avendo cura di utilizzare, per l’«umido», speciali sacchetti in fibra di mais che il classificatore casalingo deve acquistare a sue spese. 

Sono davvero piccoli, così da dover comprarne tanti. I bordi sono tagliati pari e vanno legati con l’annesso filo la cui consistenza è quella di un refe da sarto. Se fate la prova, vi accorgete che, per poter chiuderlo, dovete riempire il sacchetto a meno di tre quarti (ulteriore astuzia del produttore). 

Poi, delle due l’una: o vi caricate come muli per andare a gettar via i vari sacchi, sacchetti e sacchini, o scendete in cortile un paio di volte al giorno. Io, per esempio, il cortile non l’ho, e mi tocca 
a) disporre i sacchetti nell’ascensore, 
b) scendere i cinque piani che mi separano dal piano rialzato, 
c) un rampa di scalini, 
d) deporre il carico e aprire il portone, 
e) ricaricarmi del tutto e uscire in strada, 
f) entrare nel portone accanto («accanto» si fa per dire, perché è distante),
g) raggiungere il cortile del condominio attiguo che, dietro convenzione (non gratuita), permette lo scarico dei rifiuti limitrofi, 
h) non sbagliare bidoncino anche se molti di questi, quando arrivo io, traboccano. 

Il pensiero va a tutti quei vecchietti (e sono, statistiche alla mano, il 20-25% della cittadinanza) che devono fare quel che faccio io, compreso il previo scervellarsi domestico onde stabilire cosa si intenda esattamente per «secco non riciclabile». 

E mi chiedo (fra le altre cose): se la raccolta differenziata la devo fare io e i sacchetti devo comprarmeli, perché pago le tasse di nettezza urbana? Così, approfittando del mio status di giornalista, ho pubblicato una «lettera aperta» su un noto quotidiano nazionale, allegando anche le dichiarazioni del responsabile della raccolta rifiuti milanese (ripeto: di Milano, non di un qualsiasi comune di provincia), il quale non provvede alla raccolta differenziata perché, parole sue, non solo non serve a nulla ma addirittura ha, per l’erario, un costo superiore al guadagno. Qualche tempo dopo apparve, sullo stesso foglio, la risposta del sindaco (della cittadina di cui sopra): un puro politichese zeppo di cifre e statistiche di cui confesso di non aver capito niente. 

Tranne una frase: «…educare il cittadino…». Che, data la mia professione, mi ha subito evocato il giacobinismo. Occhio, perché la malattia sta a destra come a sinistra. Prepariamoci a un’epoca in cui non eleggeremo più «amministratori» bensì «educatori» della collettività. Per amore o per forza. A spese della suddetta. 

Già i prodromi ci sono tutti: non fumare, non bere, non tirare tardi, metti il casco, allaccia le cinture, dimagrisci, vai a piedi o in bici, ricicla, accogli, sii solidale. E via obbligando e/o vietando. Ricordiamoci che anche i giacobini erano «liberali».