Non c’è mai stata una volta che non abbia dovuto scontrarmi con qualcuno. Mi riferisco alle situazioni in cui, alla radio o in incontri pubblici, sono stato invitato a esporre un punto di vista diverso su questioni spinose della storia del cristianesimo come Inquisizione, Crociate, processo di Galileo eccetera. Quasi sempre i contestatori erano cattolicissimi, gente “impegnata” in parrocchia o in iniziative curiali. Notare che le «leggende nere» sulla storia della Chiesa ci accompagnano fin dalle elementari.
Dunque, almeno per non annoiarsi, costoro avrebbero dovuto gradire un racconto –una volta tanto- differente. Oppure, se quanto andavano sentendo non era loro gradito, alzarsi e andarsene. Anzi, non venire proprio, come faccio io quando, per esempio, apprendo dai manifesti che in tal sala andrà in scena Dario Fo o Sabrina Guzzanti. Invece, no. Restano fino in fondo, poi si alzano e contestano, quasi sempre in modo villano. Ovviamente, dal basso della loro ignoranza, visto che tutta la loro erudizione in merito è tratta dal sussidiario. E pur avendo di fronte non un oscuro pincopallino ma un autore che ha pubblicato più di trenta libri, alcuni dei quali tradotti all’estero, con le maggiori case editrici nazionali. La spiegazione è psicologica.
Sanno che il relatore rappresenta un pensiero di minoranza; anzi, minimanza. Perciò, si fanno zelanti, e non richiesti, zerbini del vincitore del momento. Come quel servo ruffiano che schiaffeggiò Cristo mentre questi era legato («Così rispondi al Sommo Sacerdote?») e aveva appena dimostrato la malafede di coloro che lo interrogavano (Gv 18, 22).