Sul numero del gennaio 2010 di «Studi cattolici», Alessandro Rivali ha intervistato il prete africano don Epimaque Mazuka, scampato al genocidio del 1994 (in circa cento giorni, dall’aprile al luglio, più di un milione di persone, in prevalenza Tutsi, vennero massacrate). Alcuni brani: «All’arrivo nel nostro paese i belgi cercarono l’appoggio della famiglia reale, che era composta da Tutsi. Quando negli anni Cinquanta il Rwanda cercò di ottenere l’indipendenza, i belgi, che stavano perdendo anche il Congo, cercarono di opporsi spostando il loro appoggio politico verso l’etnia Hutu». E, nel 1959, i Tutsi, perseguitati, dovettero fuggire nei paesi confinanti. Negli anni Ottanta cercarono di rientrare ma nel 1990 la cosa finì in guerriglia. L’Onu mediava tra le parti, tuttavia «il governo iniziò a preparare dei miliziani perché era intimorito dal ritorno dei Tutsi e dalla prospettiva di condividere con loro il potere. Il presidente di allora, Juvénal Habyarimana, firmò gli accordi di pace ma fu ucciso insieme al presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira, da un missile terra-aria che abbatté il suo aereo». Ancora: «Queste morti rimasero un mistero. Non sono mai stati rivelati i contenuti della scatola nera dell’aereo, che venne recuperata da militari francesi». Già: la Francia. Era la Francia di Mitterrand, che «al tempo del genocidio era in ottimi rapporti con il governo responsabile dei massacri. Lo stesso figlio di Mitterrand aveva in Rwanda una piantagione di marijuana… questo non si è mai saputo. La Francia fornì molte armi sia all’esercito regolare sia ai miliziani Hutu, anzi formò militarmente alcuni miliziani». D’altronde, «operavano insieme esercito, i miliziani e la polizia per fare una completa pulizia etnica».