Dall’agenzia Zenit del 23 gennaio 2011 apprendo che il 41% dei bambini di New York vengono abortiti e la percentuale è persino maggiore nel Bronx e tra le comunità nere (afroamericane). «Quasi il 40% di tutte le gravidanze di donne nere finiscono con l’aborto. Si tratta di un dato che è tre volte quello delle donne bianche e due volte quello di tutte le altre etnie messe insieme». Le organizzazioni per la pianificazione familiare (sì, è un eufemismo ma si sono autodenominate così) hanno da sempre «lavorato sodo per promuovere l’aborto tra i neri e i poveri». Ed è inutile nascondersi dietro un dito: l’ideologia eugenetica fin dal Settecento ha predicato che i troppo indigenti o i troppo ignoranti (per tacere dei tarati, degli alcolisti eccetera) non devono riprodursi. Anche se si tratta di interi popoli (da qui la valanga di preservativi che, con la scusa dell’Aids, piomba ininterrotta sul Terzomondo). Ed è dai tempi di Platone che i «saggi» cercano di disciplinare la riproduzione umana come si fa con quella animale. Ma prima li chiamavano «utopisti» (v. il mio «I mostri della Ragione», ed. Ares). Fu col Novecento che si cominciò a fare sul serio. Partirono alcuni States americani. I nazisti applicarono il principio su vasta scala ma è significativo che al processo di Norimberga si siano difesi asserendo che non avevano iniziato loro.