Luigi Fressoia -archifress@tiscali.it- è un architetto perugino, ex comunista, che invia a chi ne fa richiesta le puntate della sua rivista online “Italians”. Oggi ve ne dò un saggio col n. 132 intitolato “Perdere la guerra” (1 settembre 2012): “Quando un popolo va in guerra e la perde, i trattati di pace che infine sottoscrive sono di due tipi, quelli in chiaro e quelli in nero. I primi si studiano sui libri di testo, i secondi sono segreti, forse sono anche scritti ma il testo è conservato il luoghi inaccessibili, solo chi accede al governo ne viene tenuto a parte in modo che si regoli di conseguenza. Alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia sottoscrisse pace con tutti i vincitori, anglo-americani, francesi e sovietici. Coi primi i rapporti segreti riguardano prima di tutto servaggi militari con annesse licenze ai servizi segreti, ma anche dipendenza finanziaria da Londra. Coi russi, che presto diventarono nemici nella guerra fredda, l’Italia dovette accettare campo libero all’infiltrazione di uomini di fiducia sovietica in ruoli chiave dello stato, oltre ad accordare lo status di speciale protezione all’agente di zona, il partito comunista italiano. La dipendenza italiana dal dominio anglo-americano si è vista molte volte nei decenni repubblicani, ricordiamo Sigonella (dove Craxi osò contraddire l’ordine) o la svendita del patrimonio aziendale pubblico decisa nel panfilo Britannia nel ’92 al largo della Toscana. I sovietici dal loro canto continuarono lentamente ma senza sosta nella strategia dell’infiltrazione (peraltro tentata -e in parte riuscita- in tutta l’Europa occidentale), conquistando nel corso dei decenni posizioni preminenti nella magistratura, nelle case editrici, nei sindacati, nella scuola, nell’università, nelle burocrazie ministeriali, negli stessi partiti avversari e nemici dei comunisti. Negli altri paesi europei invece non poterono andare oltre la conquista di buone posizioni nei mass media, nei sindacati e nelle università. L’America dal suo canto si è largamente salvata grazie alla campagna di Joseph McCarthy. Se l’Italia politicamente parlando è da decenni donna sciatta di facilissimi costumi, incapace come nessun altro al mondo di difendere i propri interessi strategici, ventre molle di tutte le infiltrazioni e perfino paralizzata da sub culture politiche molto banali ma pertinaci, la spiegazione è in queste doppie servitù. Non dimentichiamo che sempre nel volgere della seconda guerra mondiale, l’Italia fu l’unico paese al mondo ad avere prigionieri di guerra sia in Germania che in campo alleato, insomma ha preso botte da tutte le parti e continua a prenderle, e pur essendosi conquistata nei decenni posizioni encomiabili e sorprendenti nel progresso economico, rimane che tutte le potenze maggiori (compresa ovviamente la Francia), considerano l’Italia terra di conquista, una nazione senza stato, come fu del resto nei secoli dalla fine del ‘400, tolta la parentesi 1861-1945. Considerano l’Italia uno stato del tutto permeabile. E in effetti lo stato italiano è del tutto orientato a se stesso (a chi ne fa parte) e quindi è capacissimo di rimanere del tutto insensibile all’interesse nazionale. I governanti della repubblica hanno sempre preso atto della condizione di limitata sovranità nazionale, cosa che ha favorito oltremodo lo scivolare dello stato italiano su qualità ridicole. Nessuno ha mai contestato queste servitù, meno che meno la sinistra e gli stessi comunisti al governo, per i quali non è importante la cornice, bensì è importante il potere. Anzi, al fine della conquista del potere, è del tutto necessario rispettare le cornici internazionali consolidatesi di fatto e di diritto. Enrico Mattei, Aldo Moro, Roberto Calvi, Lando Conti e altri non hanno fatto una buona fine. Oltre Craxi, tra i rari personaggi che hanno minacciato il ruolo di facile sgualdrina assegnato all’Italia è risultato Berlusconi, non certo per spirito antiamericano, ma per il suo naturale senso degli affari (e spirito anarcoide): conveniva trattare e comprare direttamente dalla Russia anche pestando i piedi a colossi americani. Appena andò inaspettatamente al governo nel ’94, Berlusconi fu oggetto di attacchi molteplici del tutto naturali nel contesto italiano, però molti anche dall’estero, che tradivano il timore che un parvenu della politica quale effettivamente egli era, non rispettasse il ruolo di poggia-piedi assegnato all’Italia dagli equilibri usciti dalla seconda guerra mondiale. E così è stato: Monti ha ristabilito le giuste cose. Berlusconi aveva perfino criticato e nicchiato nel marzo 2011 all’attacco misterioso ma indiscutibile contro Gheddafi, meritandosi tra gli altri il rimprovero di un Napolitano più ligio che mai all’ordine internazionale di attacco alla Libia”.