Su «Laogai Research Foundation» del 24 agosto 2014, Gianni Taeshin Da Valle ha scritto tra l’altro: «Un ministro della Sierra Leone disse una volta: “Se si chiede a uno dei paesi del G7 di realizzare una infrastruttura come una strada, una diga o un ponte, questi partirà da uno studio di impatto ambientale, per poi effettuare uno studio di fattibilità e passare via via alla bozza di progetto, al progetto definitivi, al coinvolgimento delle comunità locali, alle procedure anticorruzione, le gare, l’analisi delle offerte, l’assegnazione dei contratti e, finalmente, potrà dare inizio ai lavori”. Se chiedete lo stesso lavoro ai cinesi, costoro inizieranno i lavori un mese dopo, finendoli in sei mesi, con manodopera, macchinari, materie prime e qualsiasi altra cosa provenienti dalla Cina. Molti stati africani, inoltre, sono governati da tiranni o da governi di pochi, privi di scrupoli. Sono ben disposti perciò a collaborare con la dittatura del Pcc. Per esempio, il veto della Cina nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha impedito la condanna delle atrocità e del genocidio che si era consumato nel Darfur. (…) Diversi stati africani hanno appoggiato a loro volta le posizioni della Cina nell’assemblea Generale dell’ONU: è anche grazie ad essi che la Cina ha potuto bloccare l’ingresso a Taiwan nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha evitato numerose condanne da parte della Commissione dell’ONU per i diritti umani, ha ottenuto l’assegnazione delle Olimpiadi nel 2008 e dell’Expo nel 2010. I prestiti occidentali sono di solito condizionati alla politica dei governi africani. Per ottenerli essi devono mostrare una particolare attenzione ai bisogni della popolazione, predisporre un programma di politiche economiche volte allo sviluppo e all’attuazione dei principi generali della democrazia. I prestiti cinesi invece vengono erogati senza condizioni politiche, finanziano progetti di sviluppo che però devono essere appaltati almeno al 70% a imprese cinesi. Queste, poi, di solito utilizzano mano d’opera importata dalla madrepatria, persino detenuti dei Laogai e vengono realizzati senza alcun riguardo per le persone e l’ambiente. Il lavoro offerto dalle ditte cinesi agli africani è solo in fondo alle miniere, i dirigenti sono tutti cinesi, come pure buona parte dei tecnici. I molti infortunati sul lavoro, invece, non sempre sono risarciti».