Identikit del progressista medio: vive in un cascinale col camino a legna dove pratica la piccola pastorizia e coltiva zucchini senza ddt, si cura con le erbe e beve tisane, non ha la tivù e la sera ama giocare coi suoi cani al lume a petrolio (grezzo), pratica una religione antichissima, il buddhismo, e quando può va scalzo. 

Ha tre cellulari che tiene spenti perché li usa solo in città (lavora come informatico), dove pratica la bici e le domeniche a piedi. Odia l’auto e, per le grandi distanze, privilegia il mezzo pubblico. Non gli parlate di energia nucleare perché si innervosisce. 

Nemmeno di nuove strade vicino casa sua. Discariche? Allora volete vederlo veramente irato! Riciclaggio e basta, carta di stracci e bottiglie di vetro. Punto. E poi, se proprio insistete, mulini a vento ed energia solare, purchè non sciupino il panorama. 

Non vuol vedere elettrodotti né, figurarsi, antenne. Il suo habitat è un ambiente pre-industriale, tanto «pre» da risalire al XV secolo (già, perché nel XVI è stato introdotto il tabacco). Potremmo continuare con gli esempi, cari lettori, ma è un esercizio che potete fare da soli a casa. La domanda, qui, è questa: ma perché diavolo si fanno chiamare «progressisti»?