Leggo in un trafiletto nelle «brevi dal mondo» del 31 luglio u.s. che nella Guinea Equatoriale il presidente della repubblica governa da ventitré anni, continuamente rieletto all’unanimità del mezzo milione di abitanti. La notizia è di terza mano: viene dal sito internet della Bbc che l’ha ripresa dall’unica radio locale (laggiù nessuno legge i giornali ma tutti ascoltano la radio). Il presidente in questione di anni ne ha sessantuno: un semplice calcolo darà conto di quanti ne aveva la prima volta che fu eletto. 

Dov’è la notizia? Nelle sue dichiarazioni. Afferma di essere «in permanente contatto con l’Onnipotente», visto che quest’ultimo e lui sono la stessa persona. Seguono i corollari sul diritto al possesso di tutto e l’insindacabilità, perciò, delle sue scelte. Eccetera. Ripeto: è una notizia di terza mano. Magari ci sarà qualche tara da fare, magari l’ambasciatore smentirà, magari, perché no, si tratta di un modo di esprimersi, sì, scandaloso per noi ma assolutamente normale e non equivocato dai cittadini della Guinea Equatoriale. Magari. Però, noi sappiamo bene come, nel continente africano, non di rado la democrazia sia stata per così dire adattata agli usi locali. Mentre scrivo, l’ennesima rivolta, l’ennesima guerra civile, l’ennesima strage tribale stanno avendo luogo da quelle parti. 

E non pochi intellettuali occidentali si interrogano sull’esportabilità della democrazia, sulla democrazia come panacea per ogni problema, sulla democrazia come condizione essenziale per il progresso e il benessere. In certi posti d’Africa, di Medio Oriente e d’Asia si vedono normalmente figli del presidente succedere al padre, cosa assolutamente eccezionale e casuale in Occidente. In Occidente, poi, la democrazia ha portato al potere un Hitler con la massima tranquillità. 

E recenti sondaggi dimostrano non essere pochi quelli che, nei Paesi islamici, ben vedrebbero Bin Laden come presidente («Tempi» 18.6.03: 71% dei palestinesi, 58% degli indonesiani, 55% dei giordani, 49% dei marocchini, 45% dei pakistani). In Africa, poi, le democrazie sono così fragili che, a ogni piè sospinto, bisogna farsi carico di profughi, emergenze, rifugiati. 

E paga Pantalone, la cui scarsella viene continuamente sollecitata soprattutto dai preti nelle omelie. Sarebbe l’ora che qualcuno cominciasse a rendersi conto che la «democrazia» ha alle spalle duemila anni di civiltà romano-cristiana. E che prima che la scheda elettorale ci vogliono i missionari (magari accompagnati dai Caschi Blu, non si sa mai).