Non so dirvi perché questa notizia -niente più che un trafiletto, il 30luglio- mi abbia colpito in modo dolorosamente particolare. In fondo,di gente ne muore tanta, anche bambini innocenti, e nei modi piùatroci, strampalati o normali, tutti i giorni. Eppure, il riassuntonecessariamente stringato della fine di Luciano Di Napoli mi ha strettolo stomaco. Si tratta del solito lancio d’agenzia, «ripreso» (cioè,riscritto con un maggior numero di parole) dai redattori di queigiornali che hanno deciso di recepire l’informazione. Questione dispazio e di scelta quotidiana delle notizie. Poi, le paginedell’indomani spazzano via ogni cosa. 

Così,oltre alla scarna comunicazione, nulla sapremo di quell’uomo che erafinito sul lastrico. Aveva cinquantasette anni e faceva il maître (dicosa, d’albergo, di ristorante?) ma una malattia agli occhi gli avevaprocurato la perdita del posto. 

Senza, ovviamente, possibilitàdi trovarne un altro. Così, non potendo più pagare l’affitto, avevadovuto lasciare la casa in cui viveva. Era stato ospitato da un amicoper qualche settimana, poi si era adattato ad alloggiare in un capannodi lamiera. 

Ci stava da quattro mesi. Gli ultimi due, i piùinsopportabilmente caldi degli ultimi decenni. E’ morto per colpo dicalore (arresto cardiorespiratorio, si chiama), all’ospedale di Cassinoc’è arrivato già cadavere. E’ stato letteralmente cotto in quel fornoinfernale. 

Uno si chiede: ma come, non aveva mutua, nulla daparte, era solo al mondo? poteva chiedere l’invalidità, che so,rivolgersi a qualche prete, alla Caritas, al comune, ai servizisociali… Insomma, ci sono un sacco di organizzazioni che si prendonocura di ogni bisogno, di ogni emarginazione, perfino dei cani nonabbienti… Com’è possibile che succedano certe cose nel 2003 e inItalia? 

Domande senza risposta; chissà, forse c’è qualcosadietro e qualcosa sotto, forse quell’uomo era troppo orgoglioso perabbassarsi a domandare aiuto, forse ha trovato solo porte chiuse,forse, forse, forse. Quanta e quale vita c’è stata in quei suoicinquantasette anni i giornalisti non lo dicono. 

Magari non losanno. Eh, non c’è tempo, non c’è spazio, ci sono cose più importanti.Già: ci sono cose più importanti della morte accidentale di unoqualsiasi. Fosse stato un bambino, magari qualcuno avrebbe intervistatoqualche prete: mi dica, dov’era Dio? perché permette queste cose? 

Eil prete gli avrebbe risposto, correttamente, con un’altra domanda:dov’erano gli uomini? perché la quinta potenza industriale permettequeste cose? Poi, spenta la telecamera e buttato via il giornale delgiorno prima, questa Valle di Lacrime va avanti per come è sempreandata, con quelli che ridono e quelli che piangono, con quelli chesmettono di piangere e quelli che non ridono più. Con quelli chebenedicono Dio anche se non avrebbero alcun motivo e quelli che loaccusano di non esserci quando serve.