Neanche l’afa bollente convince certi preti ad accorciare l’omelia domenicale. Al massimo, modificano l’orario estivo delle messe (di solito, tuttavia, sono gli unici che se ne avvantaggiano). 

Poi, di fronte a gente vestita da capo a piedi per rispetto del luogo sacro, gente che si sventaglia disperatamente, non rinunciano a un canto né a un minuto della loro conferenza. Ma, dico, che ci vuole? Se la temperatura supera i quaranta dentro la chiesa, dieci-quindici minuti di fervorino non sono sufficienti? 

Macchè, nemmeno gli avvisi parrocchiali smettono di infiorettare di chiacchiere. In un mondo di talkshow, nel regno dell’opinione, dove tutti parlano e parlano e le parole ci frastornano e sommergono, per spiccare, per distinguersi bisognerebbe stare zitti. 

Invece, figùrati. Venticinque-trenta minuti, tre quarti dell’intera messa. D’estate come d’inverno. Fossero, almeno, discorsi veramente interessanti. Sì, lo so che ognuno di noi crede di essere un grande oratore. 

Ma, chi ascolta, è già tanto se non gli tocca di sentire qualche mezza eresia. Nella maggior parte dei casi si tratta di pallosissimi intrattenimenti di carattere più o meno religioso. Temi: no al consumismo, sì all’equa distribuzione della ricchezza nel pianeta, sì alla giustizia sociale. Insomma, lo stesso, sputato, orizzonte materialistico che si rimprovera ai rimproverati. 

Ma ditemi voi se uno dovrebbe diventare cristiano (sacramenti-preghiera-ascesi) solo per ‘sta roba. La volete tutta? Eccola: non c’è bisogno neanche dei preti, per ‘sta roba.