Il lettore Liani mi fa presente le sue perplessità (chiamiamole così) sul Dalai Lama, che di tempo in tempo viene a farci visita. Nell’ultima è stato ricevuto dal papa e non dal presidente Ciampi bensì dal suo vice, il presidente del Senato Pera. 

Eggià: non si può compromettere i rapporti con la Cina, che dal 1951 occupa il Tibet. Il Dalai Lama è, infatti, anche capo politico (in esilio),oltrechè religioso (in tal veste è andato dal papa). 

Non sottilizziamo qui sulla pur doverosa distinzione: sì, il buddhismo è più che altro una filosofia ma ormai è considerata una delle «grandi religioni» e come tale ammesso ai raduni interconfessionali. Ma è proprio qui il punto: il Tibet era, dunque, uno stato teocratico il cui «clero» rappresentava una categoria preminente. 

Il lettore mi ricorda che la retorica di Porta Pia vale solo, a quanto pare, per il papa cattolico e non già per il Dalai Lama, visto che tutti compiangono la violenta annessione del Tibet da parte della Cina ma continuano a plaudire la stessa cosa inflitta dai piemontesi allo Stato Pontificio nel 1870. 

Il lettore continua con i paragoni ricordando l’uccisione del missionario Maurice Tornay, avvenuta solo due anni prima della fine del dominio dei lama in Tibet, uccisione cui potrebbero aggiungersene altre, nel passato: infatti, il Tibet fu sempre assolutamente impermeabile alla penetrazione missionaria cristiana. 

Il papa ha inaugurato nel 1999 la stagione dei «meaculpa», cui in tempi recentissimi si è accodato anche il leader di Alleanza Nazionale e che ha visto in tanti prodursi in richieste di perdono per le colpe dei propri predecessori. Nulla di ciò traspare nelle parole (riportate dai giornali) del Dalai Lama, il quale, anzi, è reduce da una firma, il 25 gennaio 2002, su una dichiarazione «contro le conversioni religiose» in India. La dichiarazione, lo ricordo, era implicitamente contro il proselitismo (presunto aggressivo) cristiano, proveniva dal mondo induista ed era stata fatta propria dal governo indiano. 

Chissà se questo argomento è stato toccato nel colloquio col papa. Sorge il sospetto che il buddhismo che viene portato in tour in Occidente sia leggermente diverso da quello che si pratica davvero in Oriente. 

Tenendo conto che in Italia, poi, è maggioritario non quello tibetano ma quello giapponese, c’è da chiedersi qual sia il senso delle visite del DalaiLama e come mai personaggi di spicco della vita politica italiana (di destra e di sinistra) ogni volta lo accolgano facendo sfoggio di lunghe sciarpe bianche. Ma, si sa, l’Italia è la meta agognata di ogni turista.