«Ecco un esempio del genere di cose che accadono qualora omettiamo di dedicarci al preliminare compito filosofico per precipitarci su quello storico. In un famoso commento alla Bibbia troverete una discussione sulla data in cui fu scritto il Quarto Vangelo. L’autore dice che dev’essere stato scritto dopo l’esecuzione di san Pietro, perché, nel Quarto Vangelo, Cristo predice tale esecuzione. “Un libro – pensa l’autore – non può essere scritto prima degli eventi ai quali fa riferimento”. È ovvio che non possa – a meno che non si tratti di vere predizioni. Se così fosse, però, tutta questa argomentazione sulla datazione crollerebbe. Per di più, l’autore non discute affatto della possibilità che esistano delle vere predizioni. Dà per scontato (forse inconsciamente) che questa possibilità non ci sia. E forse ha ragione: ma se è così, non ha di certo scoperto questo principio tramite l’indagine storica. Ha sovrapposto al lavoro storico la sua convinzione preconfezionata, per così dire, riguardo alle predizioni. Se non avesse fatto ciò, non sarebbe mai giunto a quella conclusione sulla datazione del Quarto Vangelo. E allora, il suo lavoro è praticamente inutile per una persona che voglia sapere se esistono le predizioni. L’autore inizia il proprio lavoro solo dopo aver già risposto negativamente a questa domanda, e non dice mai su che base l’ha fatto». Così parla C. S. Lewis (l’autore, tra l’altro, de «Le cronache di Narnia») nel suo «Miracoli. Uno studio preliminare», appena uscito per Lindau).