poveri

POVERI

Oggi ho visto un povero che chiedeva l’elemosina con il cappello in una mano mentre con l’altra reggeva all’orecchio un cellulare di ultima generazione e conversava animatamente. Superatolo, dietro l’angolo ce n’era un altro che faceva la stessa cosa. La domanda è: adesso usa così o mi sono perso qualche passaggio?

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Dal blog di Luigi Fressoia: «Nei secoli e millenni la popolazione al 95% è stata povera, poverissima o in miseria e la Chiesa non mi pare ne fosse ossessionata, oggi che povera è una esigua minoranza (intorno al 10% in questi tempi di crisi, ma povertà relativa nel senso che i disoccupati di oggi mangiano tutti i giorni, hanno una casa, un’utilitaria, il computer, il cellulare e l’armadio pieno di abiti), pare che il restante 90% non esista. Non esista e sia pure colpevole».

POVERI

In quella «periferia esistenziale» che è il centro di Milano ogni mattina esco di casa e affronto il quotidiano slalom tra i mendicanti, accattoni, zingari e postulanti vari. Ogni bar, ogni panetteria, ogni supermercato ha, davanti, il suo bravo africano col cappello in mano e la lagna querula. Uno ogni venti metri circa. Se fai un giro e torni dopo qualche ora, magari ne trovi uno che si concede una pausa conversando allegramente col suo smartphone. Certi sono tanto strategicamente posizionati che devi quasi scavalcarli per poter passare. Sulla porta della chiesa (visita quotidiana) un cartello vieta di chiedere soldi dentro. E loro ti aspettano fuori. Abito da vent’anni in una strada dove, da vent’anni, almeno quattro tra giovanotti e giovanotte immancabilmente mi vi si avvicinano per domandarmi allegramente qual è l’ultimo libro che ho letto. Poiché la ditta li cambia ogni giorno, ogni giorno –da vent’anni- devo cortesemente respingerli. A volte più volte al giorno, perché magari esco più volte. A casa non rispondo più al telefono fisso, per non essere ossessionato dai call-center. Talvolta mi chiamano sul cellulare, ma se non riconosco il numero non lo apro. Si può campare così? La «solidarietà» ha un limite psicologico. Si chiama stress.

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Perché non c’è chiesa senza almeno uno zingaro davanti a chiedere soldi? Perché non c’è banca che abbia un mendicante davanti alla porta? Eppure, sarebbe più logico che gli accattoni ronzassero dove c’è tanto denaro. Eh, questuanti sì, fessi no. Dalla porta della banca li caccerebbero a pedate, mentre nelle chiese, con la menata quotidiana dei «poveri», i fedeli non hanno cuore di tirare dritto di fronte alla «povertà». Che gli zingari siano poveri, certo, è tutto da dimostrare. E’ vero che la crisi c’è, lo si vede specialmente a Milano, dove vivo, e che ha il più alto tasso italiano (e forse europeo) di microcriminalità. I negri, per esempio, da vuccumprà si sono trasformati in accattoni tout court e stazionano davanti alle panetterie e ai bar più frequentati. Davanti alle chiese non vanno, perché con gli zingari finirebbe a coltellate. Ma la petulanza congenita rimane inalterata (che sia una caratteristica etnica?). Quelli di loro che tuttavia continuano a fare i vuccumprà si sono specializzati in libri di argomento africano, cioè la solita storia del «bovero negro» che colpevolizza l’Occidente ricco e obeso anziché quelle bestie tribali da cui si fa governare nel Continente Nero. Li trovate tutti, guarda un po’, davanti alla Libreria San Paolo, dietro al Duomo. Se entri o esci ti si avventano addosso come mosche cavalline e non ti mollano finché, rinunciando alla tua carità cristiana, non li mandi a quel paese in malo modo. Chissà perché, sono convinti che uno che ha appena comprato un libro «cattolico» ne debba comprare subito un altro perché il papa ha appena sognato una Chiesa povera per i poveri. Io, che sono un cattivo cattolico e i cosiddetti «poveri» mi stanno sull’anima, li mando sempre a quel paese in malo modo, e ciò da anni. Ma, si sa, come per un bianco tutti i negri sono uguali, così è per loro e non hanno mai memorizzato la mia faccia, altrimenti non perderebbero più tempo con me. La Libreria San Paolo di Milano perciò ha visto rarefarsi le mie visite, ridotte ormai allo stretto necessario. Anch’io ho un sogno: una Chiesa che la smetta di tormentare i fedeli sui «poveri» e che proclami dai pulpiti di non dare un accidente agli accattoni, ma di dare solo alla Chiesa, ché ci pensa lei ai poveri. Ps.: chiamo zingari i nomadi e negri gli africani perché sono politicamente scorretto, non sono statunitense e nemmeno «liberal», sono italiano e ho imparato la mia lingua materna sul dizionario. La mia canzone preferita degli anni Cinquanta è «Io sono il vento», cantata da Arturo Testa, che così cominciava: «Zingaro chi sei? Figlio di Boemia…». Negli anni Sessanta amavo «Siamo i watussi, gli altissimi negri…» di Edoardo Vianello (ancora eseguitissima).