Nel suo blog “Settimo cielo” del 15 settembre 2012 il vaticanista Sandro Magister ha scritto che il papa in Libano «non ha temuto di richiamare in chiave positiva la memoria di un imperatore molto controverso, Costantino, autore nel 313 dopo Cristo di quell’editto che diede la libertà ai cristiani ma insieme inaugurò un “regime di cristianità” contro cui si sono scagliati molti tra gli stessi cattolici, specie durante e dopo il Concilio Vaticano II». Magister ha ricordato un libro del 1965 del grande teologo Jean Daniélou (“La preghiera problema politico”): «Daniélou rimproverava agli anticostantiniani di volere una Chiesa “pura”, simile a “una confraternita degli iniziati”, e con ciò di perdere proprio quei “poveri” che a loro starebbero tanto a cuore: i poveri “nel senso dell’immensa marea umana”, fatta anche di “quei numerosi battezzati per i quali il cristianesimo è più che altro una pratica esteriore”. Per Daniélou la Chiesa non dev’essere “svincolata dalla civiltà in cui si teme possa compromettersi”. Al contrario, è essenziale che “si impegni nella civiltà, perché un popolo cristiano è impossibile in una civiltà che gli sia contraria”. Di qui la difesa che egli fece di Costantino, l’imperatore romano che per primo consentì al cristianesimo di diventare una religione di massa: “Questa estensione del cristianesimo a un immenso popolo, che rientra nella sua essenza, era stata ostacolata durante i primi secoli dal fatto che andava sviluppandosi all’interno di una società […] ostile. L’appartenenza al cristianesimo richiedeva quindi una forza di carattere di cui la maggior parte degli uomini è incapace. La conversione di Costantino, eliminando questi ostacoli, ha reso il Vangelo accessibile ai poveri, cioè proprio a quelli che non fanno parte delle élite, all’uomo della strada. Lungi dal falsare il cristianesimo, gli ha permesso di perfezionarsi nella sua natura di popolo”.